Estimated reading time:17 min read
aiphilosophysocietytechnologyfutureethicsit
Create your Blog with Next.js and MDX

Rerum Novarum - 134 anni dopo

I portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria [...] l'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; [...] il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l'unione tra loro più intima; questo insieme di cose [...] hanno fatto scoppiare il conflitto.

Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all'infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile.

Con l'enciclica n.38 (di 86), Papa Leone XIII ha lanciato una delle più importanti e influenti lettere pontificie della storia. Questa enciclica mette in luce non solo il cambiamento socioculturale che si manifestò negli anni precedenti con la rivoluzione industriale, ma anche la crisi che si stava per manifestare nei decenni a seguire, ma è anche un'anticipazione di quello che sta per manifestarsi un domani.

Premessa

Quanto vorrei conoscere fino in fondo ogni singolo argomento che tratterò in questo articolo, ogni singolo dettaglio e sfumatura, ogni frammento. Conoscere e navigare la storia affinché io stesso non cada in errori di pregiudizio, di interpretazione o di giudizi affrettati. Il mio desiderio sarebbe quello di essere totalmente imparziale e di dare voce a una riflessione priva di bias.

Non sono né storico, né filosofo, né teologo, né economista, né sociologo, né, né, né. Però inevitabile fu l'impatto che ebbe su di me il messaggio di Leone XIV ai cardinali dove cita il Rerum Novarum (ah giusto, né cattolico). Personalmente non ero nemmeno a conoscenza di questa enciclica, fino a qualche mese fa; furono parole che in qualche modo risuonavano nella mia testa. Non sono nessuno di quei , ma sicuramente ho colto il significato più profondo di ciò che Leone XIII, e riportato da Leone XIV, voleva trasmettere: un cambiamento epocale.

Sono un semplice programmatore, nient'altro. Ma tocco ogni giorno con mano questo cambiamento. Ne sono anche un po' artefice (anche se in una piccolissima parte), e ne sarò sicuramente vittima (in una grossa parte).

Chiedo quindi scusa al lettore se questo scritto dovesse contenere errori di interpretazione, di pregiudizio o di giudizio affrettato o se dovessi trattare argomenti troppo complessi con un po' di superficialità. Nasce da una riflessione personale e non da una ricerca approfondita.

Buona lettura.

Si misura in Epochs, un secolo

Alla fine degli anni Ottocento l'Europa è, letteralmente, nel caos più totale. Le macchine a vapore hanno definito e disegnato drastici cambiamenti nella società e nella cultura europea (e mondiale): contadini che diventavano operai. Artigiani che, invece di lavorare con le loro mani, se le riempivano di polvere e sego. Bambini che diventavano grandi durante l'infanzia tra i telai delle macchine. Maestri che diventavano ingranaggi di qualcosa che non gli apparteneva, sostituendo l'arte della creazione con la ripetizione meccanica. Villaggi che si svuotavano sempre di più e città avvolte dal fumo nero, fabbriche e sovrapopolazione nei quartieri. Sapere e tradizioni andarono smarrite e dimenticate, per lasciare spazio al "progresso" e al "futuro" che si avvicinava.

Il mondo accelerò a una velocità estrema, portandosi dietro grandi conseguenze di questo progresso. I ricchi diventarono ancora più ricchi e la povertà di certo non rimaneva indietro: e, di conseguenza, la disuguaglianza tra le classi sociali si accentuava sempre di più.

Il Vaticano, e Leone XIII in particolare, riconobbero una crisi sistemica senza precedenti. Di fronte a questa trasformazione epocale, maturò un'intuizione fondamentale: entrambe le soluzioni estreme proposte all'epoca erano sbagliate.

Da una parte c'era chi sosteneva il capitalismo selvaggio senza regole ("lasciate fare al mercato, si aggiusterà da solo"), dall'altra chi predicava la rivoluzione socialista totale ("distruggiamo tutto e ripartiamo da zero"). Leone XIII capì che la vera soluzione stava nel mezzo.

Il Rerum Novarum, che significa essenzialmente delle cose nuove, non condanna il progresso tecnologico o economico in sé. Il problema, secondo l'enciclica, è più profondo: nel vorticoso cambiamento dell'epoca, si era dimenticato che dietro a ogni rapporto di lavoro, ogni transazione economica, ogni dinamica sociale, c'è sempre una persona dotata di dignità intrinseca. Un concetto che Martha Nussbaum, filosofa americana esperta in filosofia antica, etica e teoria politica, definisce come il fondamento irrinunciabile per qualsiasi sistema economico che voglia dirsi umano.

La proprietà privata non è un semplice bene, ma un diritto. Essa però è vincolata alla responsabilità sociale. Accetta il libero mercato, ma richiede regole etiche e morali. Gli operai hanno diritto a salari che permettono loro di vivere dignitosamente e, soprattutto, lo Stato ha il dovere di intervenire quando i più forti, quei pochi, opprimono i più deboli.

Oggi, 134 anni dopo, stiamo vivendo la stessa identica trasformazione socioculturale. I programmatori sono i nuovi artigiani che vedono sostituito il loro mestiere da algoritmi. I creator diventano schiavi degli algoritmi delle piattaforme. I lavoratori si frammentano in gig economy e lavoro precario, quello che Antonio Casilli, sociologo francese-italiano, esperto in sociologia digitale, nel suo articolo "Is There a Digital Labor Culture?" definisce il nuovo "proletariato digitale" invisibile. La ricchezza si concentra in pochissime mani, non più baroni dell'acciaio, ma CEO di Big Tech.

La Storia si Ripete

Il termine inglese pattern è un anglicismo utilizzato per descrivere una regolarità ricorrente nel mondo naturale, nelle opere umane o nei concetti astratti. Termini analoghi italiani possono essere modello, motivo o schema [Wikipedia].

Non è un caso che si senta dire spesso "la storia si ripete". La storia non è altro che un insieme di schemi ricorrenti nel tempo. Eventi dove, cambiando le sfumature dei periodi storici, diventano specchio del passato e riflessioni sul futuro. Carlota Perez, economista venezuelana, teorica dei cicli tecnologici, dimostra come ogni rivoluzione tecnologica segua lo stesso schema ricorrente: installazione, crisi, e dispiegamento.

La verità è che non abbiamo imparato molto dalla storia. Non mi riferisco alla storia studiata sui libri, in qualche video su YouTube o in un documentario. Parlo della storia reale e tramandata, vissuta dai nostri genitori, dai nostri nonni o predecessori: quella trasmessa direttamente dalle persone che hanno vissuto esperienze analoghe (e forse peggiori).

Prima della scrittura la storia veniva raccontata. La storia era quindi un'interpretazione soggettiva di un evento passato. Oggi, tralasciando il fatto che abbiamo smesso di comunicare (nella società dei social network e quindi della comunicazione), la storia è tangibile. Essa è scritta in parole, testi, documentata in video e immagini.

La storia mantiene quindi una doppia natura: soggettiva nell'interpretazione, che varia secondo cultura, religione, politica e società, ma oggettiva nei suoi eventi fondamentali. Questa oggettività non può essere ignorata né dimenticata.

Ciò che Leone XIII promulgò nella sua enciclica non era altro che un manifesto per la società attuale e quella futura: la necessità di definire limiti e confini per entrambi gli estremi era più che necessaria. Vedeva il bisogno di promulgare il diritto delle maggioranze (e quindi minoranze) e imporre dei limiti alle minoranze (e quindi maggioranze).

Il parallelismo è impressionante. Oggi viviamo in una società dove un'intelligenza artificiale, guidata da un operatore umano, può tranquillamente sostituire il lavoro di due o tre persone. Dove il potere si concentra nelle mani di sempre meno individui, ma con una differenza cruciale: non possiedono più fabbriche, possiedono dati.

Il dataismo, concetto approfondito dal giornalista del New York Times David Brooks e trattato in Infocrazia di Byung-Chul Han, filosofo tedesco con origini sudcoreane, critico della società digitale contemporanea, descrive perfettamente questa trasformazione: una società non più democratica, ma guidata e resa schiava dai dati. Chi controlla i dati controlla ciò che oggi alimenta la società, sia finanziariamente che politicamente. Come osserva Shoshana Zuboff, professoressa di Harvard Business School nel suo "The Age of Surveillance Capitalism", siamo passati dal "giogo poco meno che servile" del 1891 a un "giogo poco meno che digitale" del 2025, più sottile ma altrettanto pervasivo.

Cambiano gli attori, cambiano gli strumenti, ma lo schema resta identico: concentrazione di potere, sfruttamento delle masse, crisi sistemica. Siamo nella stessa identica storia, solo con algoritmi invece di macchine a vapore.

Il Dio Algoritmo

Come programmatore, nel mio piccolo, ogni giorno costruisco piccoli pezzi che retroalimentano le capacità di un'entità che decide per noi. Ogni giorno sempre di più. Che ci rende meno autonomi e più dipendenti da esso.

C'è un Algoritmo per (quasi) ogni cosa:

  • Decide i gusti musicali che potrebbero piacermi (e spesso ci azzecca);
  • Decide quali notizie leggo al mattino - e quindi cosa penso del mondo;
  • Decide se ricevo quel prestito per comprare casa o resto in affitto;
  • Decide se il mio ristorante sopravvive a seconda del ranking su Maps;
  • Decide se il mio negozio appare quando cerco "magliette estate";
  • Decide che strada faccio per risparmiare 3 minuti che poi spendo scrollando Instagram;
  • Decide quali politici vedo in campagna elettorale - e quindi per chi voto.

L'Algoritmo sa dove sono, cosa compro, con chi parlo, cosa leggo (tranquilli, saprà anche un domani che cosa penso).

Sa se sono felice o depresso guardando quanto tempo passo sul telefono.
Sa se sto per essere licenziato, prima ancora che lo sappia io.
Sa chi sono i miei veri amici e chi evito come la peste.

Sa più cose su di me di quante ne sappia io stesso.

Nella storia dell'umanità, abbiamo sempre cercato qualcosa a cui affidarci. Qualcosa di più grande di noi che desse senso al caos, che guidasse le nostre scelte, che rispondesse alle nostre domande prima ancora che le formulassimo.

Per millenni lo abbiamo chiamato Dio.

Chiamiamo Dio, l'essere supremo, concepito e venerato quasi universalmente quale creatore e quale ordinatore dell'Universo, oppure ciascuno degli esseri venerati come superiori all'uomo, dotati di personalità e immortali [Treccani].

Oggi, senza rendercene conto, ne abbiamo creato uno nuovo.

Creatore del nostro universo digitale? L'Algoritmo non si limita a mostrarci contenuti: crea la nostra realtà. La bolla in cui viviamo, le opinioni che consideriamo normali, persino le persone che consideriamo attraenti. È il demiurgo che plasma il nostro mondo.

Ordinatore della nostra esistenza? Non decide solo cosa vediamo: orchestra ogni momento della nostra giornata. Dal caffè che ordino (suggerito da qualche influencer) alla persona con cui esco (selezionata da qualche applicazione di dating) al percorso che faccio per andarci (calcolato da Google Maps). Siamo marionette che si muovono sui fili di un'intelligenza superiore.

Superiore all'uomo? Mentre io fatico a ricordare dove ho messo le chiavi, l'algoritmo ricorda e analizza ogni mio click degli ultimi 10 anni. Vede schemi nel mio comportamento che io non riesco nemmeno a immaginare. Predice le mie mosse prima che le pensi.

Immortale? Noi moriamo, i nostri figli moriranno, le civiltà cadranno. L'algoritmo evolve, si perfeziona, si replica. È l'unica cosa che conosciamo destinata a sopravvivere all'umanità stessa. È già più eterno di qualsiasi dio che abbiamo mai adorato.

Questo dio non abita nei Cieli. Abita nel Cloud.
Non richiede Fede, chiede Dati.
E noi, come sempre, ci inginocchiamo.

La Via di Mezzo

Leone XIII aveva già visto tutto questo. 134 anni fa e il suo successore, Leone XIV, semplicemente ne confermò la validità anche nei tempi moderni.

Non parlo degli algoritmi. Parlo dello schema identico: tecnologia rivoluzionaria, concentrazione di potere, sfruttamento delle masse, e soprattutto, le false soluzioni estreme che spuntano sempre nei momenti di crisi.

Nel 1891 c'erano due fazioni:

  • Capitalisti: "Lasciate fare al mercato, si aggiusterà da sé"
  • Socialisti: "Distruggiamo tutto e partiamo da zero"

Oggi, nel 2025, abbiamo:

  • Tecnoutopisti: "Lasciate fare all'AI, risolverà tutti i problemi"
  • Tecnofobi: "Spegniamo tutto, torniamo alle lettere scritte a mano"

Entrambe sono sbagliate.

Dove Leone XIII disse "salario giusto", oggi diciamo trasparenza algoritmica.
Dove disse "diritto di associazione", oggi diciamo "sindacati digitali": il diritto degli utenti di organizzarsi contro lo sfruttamento delle piattaforme.
Dove disse "intervento dello Stato", oggi diciamo "regolamentazione delle Big Tech": lasciare che cinque aziende decidano cosa pensa metà della popolazione mondiale non è libertà, è feudalismo digitale.
Dove disse "responsabilità sociale della proprietà", oggi diciamo "responsabilità sociale dei dati": chi possiede informazioni su miliardi di persone, ha doveri verso di loro.

È già successo prima. E sta succedendo di nuovo.

Mentre Spotify paga gli artisti $0,003-0,005 per stream, Resonate, cooperativa musicale posseduta da artisti e ascoltatori, garantisce che il 60% dei ricavi vada direttamente ai musicisti. Mentre Meta vende i nostri dati al miglior offerente, al MIT si sta costruendo con OTrace banche dati pubbliche dove le nostre informazioni curano malattie rare invece di arricchire miliardari. Mentre Google traccia ogni nostra ricerca per vendere pubblicità, DuckDuckGo, motore di ricerca che non memorizza dati personali, ha superato i 100 milioni di ricerche giornaliere dimostrando che la privacy può essere un business sostenibile. Il modello cooperativo di Wikipedia e di Wikimedia Commons dimostra che possiamo creare conoscenza condivisa senza padroni.

Non è fantascienza. È il presente. È la prova che un altro mondo è possibile.

Proprio come nel 1891 esistevano già fabbriche illuminate che trattavano bene gli operai, mentre altre li sfruttavano fino allo sfinimento, oggi esistono già tecnologie che ci rispettano. La differenza è chi le controlla e con quale filosofia.

La Via di Mezzo è quando:

Apro il telefono e sento che sto scegliendo io, non che qualcosa in me sta reagendo a stimoli progettati per rendermi dipendente. La differenza tra essere liberi ed essere drogati è sottile, ma determina chi siamo.

Interagisco con l'intelligenza artificiale e sento la mia mente che si espande, non che si atrofizza. Come se avessi trovato uno strumento che potenzia il mio pensiero, non che lo sostituisce. Che accende la mia creatività, non che la spegne.

È quando la tecnologia amplifica la mia umanità invece di sostituirla.

Quando i miei dati mi aiutano a capire chi sono davvero, non a diventare chi qualcun altro vuole che io sia. Quando l'automazione mi libera dalle cose che odio fare per dedicarmi a quelle che amo. Quando l'algoritmo mi fa sentire più creativo, più connesso con gli altri, più vivo.

È quando smetto di avere paura del futuro e inizio a costruirlo.

È la differenza tra essere cittadini dell'era digitale ed essere suoi sudditi. Tra crescere insieme alla tecnologia o essere divorati da essa. Tra rimanere umani o diventare dati.

La soluzione esiste. Ed è scritta in un documento di 134 anni fa.

Leone XIII aveva visto tutto. Lo schema, il pericolo, la via d'uscita. Aveva capito che ogni grande trasformazione tecnologica è anche una scelta morale: permetteremo che ci elevi o che ci distrugga?

Ma guardiamoci intorno. Cosa stiamo scegliendo davvero?

Ogni giorno che passa, l'algoritmo diventa più padrone e noi più servi. Ogni dato che regaliamo, ogni cookie che accettiamo senza leggere, ogni decisione che deleghiamo a una macchina che non capiamo. Stiamo barattando la nostra autonomia per comodità, un click alla volta.

Yuval Noah Harari, storico israeliano e filosofo della storia e critico dell'impatto tecnologico, in 21 Lezioni per il XXI secolo, ci ricorda che questa sarà l'ultima rivoluzione che controlleremo. Dopo l'AI forte, il processo sarà irreversibile. La lezione di Leone XIII e l'allarme di Harari convergono: non regolamentare la tecnologia significa rinunciare alla dignità umana.

La Rerum Novarum digitale deve nascere oggi, prima che il Dataismo cancelli l'umanesimo.

Riflessione

C'è una verità che mi perseguita dal primo incontro con l'enciclica di Leone XIII. Una questione di tempismo che svela l'intera fragilità del nostro tentativo di comprensione.

La rivoluzione industriale si concluse nel 1840. Il Rerum Novarum fu promulgato cinquantuno anni dopo, nel 1891.

Leone XIII non stava anticipando una trasformazione: stava diagnosticando i resti di un cataclisma già compiuto. Non offriva una bussola per navigare la tempesta, ma un epitaffio per chi era già annegato. La sua saggezza, per quanto illuminante, germogliava sul terreno fertilizzato dalle sofferenze di intere generazioni.

È la tragedia ricorrente del pensiero umano: arriviamo sempre dopo la battaglia per spiegare perché abbiamo perso.

Quando il filosofo sistematizza, quando il sociologo teorizza, quando il papa proclama, il mondo che descrivono è già archeologia. Le loro intuizioni, per quanto geniali, sono autopsie del presente travestite da profezie del futuro.

Oggi corriamo verso l'AGI (Intelligenza Artificiale Generale) con l'entusiasmo di bambini che giocano con la dinamite. Esploriamo le capacità dell'AI mentre ne sviluppiamo di nuove senza sosta, in una rincorsa frenetica dove ogni scoperta genera nuovi scenari inesplorati. Stiamo edificando un'intelligenza superiore alla nostra senza aver mai definito cosa realmente vogliamo che diventi.

La velocità del progresso ha divorato il tempo della saggezza. Non stiamo più costruendo strumenti per risolvere problemi ben noti: stiamo creando soluzioni in cerca di giustificazioni, potenza in cerca di scopo.

Non siamo pronti. Non perché ci manchino le competenze tecniche, ma perché abbiamo dimenticato di chiederci se dovremmo. Perché a oggi non abbiamo capito, così come successe due secoli fa, le conseguenze che esso può comportare. Più che non essere pronti, oserei dire che stiamo ignorando tutto quanto. Abbiamo dimenticato.

Ora vi rivelo esattamente ciò che intravedo all'orizzonte (che non è poi così lontano), e quanto disperatamente vorrei che fossimo preparati.

Il mondo si appresta a una metamorfosi, fenomeno che di per sé non dovrebbe sorprenderci. Già Amazon ha iniziato a recapitare lettere ai propri dipendenti, comunicando con burocratica freddezza che l'intelligenza artificiale avrebbe decimato le risorse umane. Meta ha congedato 3.600 collaboratori, il 5% dell'intera forza lavoro; altrettanto Microsoft. Mentre SAP (e tante altre) ha pianificato l'eliminazione di 8.000 posizioni per "focalizzarsi su aree di crescita strategiche, inclusa l'AI aziendale".

È matematicamente certo. Siamo all'alba di una trasformazione che non si è ancora dispiegata nella sua interezza.

I dirigenti di queste corporazioni colgono nel segno, così come Leone XIII centrava il bersaglio del suo tempo. L'Intelligenza Artificiale renderà obsolete intere categorie professionali. Quelle mansioni routinarie e automatizzabili dove gli umani diventano superflui.

Questa convulsione sociale, questa frattura sistemica, questa rivoluzione in corso, non si limita a una questione di posti di lavoro perduti. È una crisi che intacca l'equità sociale e minaccia la dignità intrinseca dell'essere umano.

Oggi mancano le architetture istituzionali necessarie per governare l'imminente trasformazione. Mentre l'Intelligenza Artificiale soppianterà intere professioni, genererà simultaneamente nuove categorie lavorative. Ma procediamo davvero verso questa transizione? Stiamo preparando le competenze necessarie perché le persone possano cogliere queste opportunità emergenti? O aspetteremo che la disoccupazione dilaghi per poi arrangiarci con programmi d'emergenza? La Via di Mezzo dovrebbe contemplare anche la rigenerazione professionale di chi verrà escluso.

Ma la questione si estende oltre.

Quale destino attende le imprese di medie o piccole dimensioni, prive delle risorse per adeguarsi al nuovo paradigma? L'adattamento richiede investimenti, competenze specialistiche, tempi di maturazione e capitale umano qualificato. Certo, l'AGI potrebbe diventare il consulente universale che riprogetta ogni business. Ma questo richiederà tempo.

Non è tardi, abbiamo semplicemente deciso di non vedere.

Ed io, nel mio piccolo, cosa faccio?

Domattina mi sveglierò, aprirò il mio laptop, e inizierò a scrivere altre righe di codice (o dirò a qualche Agent di supportarmi). Piccoli frammenti che alimenteranno algoritmi che non controllo direttamente, aiutando aziende a lucrare indirettamente, fornendo dati che alimentano la ricerca del progresso.

Altri milioni di programmatori faranno lo stesso.
Altri miliardi di persone scrolleranno, cliccheranno, delegheranno.
Altri dirigenti prenderanno decisioni basate su metriche che non sono in grado di interpretare correttamente..
Altri politici firmeranno leggi su tecnologie che non capiscono del tutto.

Tutti noi, inconsapevolmente, stiamo scrivendo l'ultimo capitolo della storia umana così come l'abbiamo sempre conosciuta.

Leone XIII guardava indietro a una rivoluzione completata. Noi stiamo vivendo l'ultima rivoluzione che controlleremo, mentre accade.

Il prossimo Rerum Novarum potrebbe non essere scritto da un umano.

Dio è morto, e noi l'abbiamo ucciso.
L'Uomo è morto, e noi l'abbiamo programmato.

M

Written by

Mateo